Le grandi acquisizioni originatesi nel Vicino Oriente sembrano non aver avuto il giusto posto fra i monumenti delle grandi conquiste umane. Nemmeno questa, in Giordania, che noi consideriamo come l’ombelico culturale dell’umanità stessa.
Non lo dico io ma Edoardo Borzatti von Löwenstern, geologo del quaternario, docente di ruolo di Paleontologia Umana all’Università di Firenze, che dal 1974 trascorre due-tre mesi l’anno nel Wadi Rum per missioni di ricerche scientifiche.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo nel deserto del Wadi Rum, è una di quelle persone straordinarie che riescono a spiegare le cose più complicate nel modo più comprensibile. Pensa che in Giordania, a differenza del Sahara e del Sahel, il deserto sia un salotto, uno dei paesaggi più belli della terra.
E’ il caso di credere al divulgatore: questa è la zona più ricca al mondo di pitture rupestri, con oltre 700 siti e 24.000 iscrizioni. Le testimonianze rinvenute dalle missioni italiane coprono un arco di 8000 anni. Le ricerche hanno messo in luce oltre 1200 insediamenti dell’Età del Rame (4800-3000 a.C.), una decina di insediamenti neolitici (7500-6000 a.C.), circa 50 siti paleo-mesolitici (17000-8500 a.C.) e 18 appartenenti al Paleolitico antico e medio (1.200.000-60.000 a.C.).
La scrittura alfabetica più antica mai accertata si sarebbe originata nel deserto della Giordania meridionale.
Il centro di ricerca italiano ha una storia curiosa. Lo sceicco degli Al Zawaidah, Juleil Soudan Abu Kayed, ha da sempre incoraggiato ed aiutato le ricerche nel territorio. Dalla sua base nel villaggio Aeddise, lo sceicco donò al Prof. Borzatti una carta che attestava il dono di un terreno dove edificare la missione di ricerca. Il governatore di Aqaba, dove Borzatti si era recato per ufficializzare l’acquisizione, sollevò dubbi sulla legalità: solo dinnanzi alla firma dello sceicco Juleil fece dietrofront, riconoscendo i beduini come assoluti proprietari del deserto. In realtà in quell’area era stata progettata una strada governativa, così agli italiani venne assegnato un altro dunum (spazio di 1000 mq), di cui il Prof. Borzatti ebbe la piena responsabilità; il centro sorge proprio lì, ed è aperto al pubblico.
Con un po’ di fortuna, saranno proprio i ricercatori ad accompagnare a vedere qualcosa di molto speciale: la mappa rupestre di Giamal Amud-Diseh. Non è l’unico manufatto del genere ma l’unico ad essere stato studiato. Fino a sessantanni fa, la razzia era accettata dai beduini, ed era soggetta a regole d’onore. Vi erano immancabilmente sottoposte anche le genti agricole, per evitare le quali si impegnavano a pagare alla tribù beduina dominante una tassa in derrate, detta khone. La mappa di Diseh – Diseh è uno dei punti più belli e selvaggi del Wadi Rum – è un suggestivo manufatto del periodo fra il 4500 e il 3000 a.C.; tramite canalini e coppelle è stata riprodotta una mappatura dei villaggi per monitorare il pagamento della khone: a pagamento avvenuto, solchi e incavi venivano riempiti con sassolini. Sembra essere stata realizzata da esperti conoscitori dell’orografia del deserto, per esercitare il controllo sulle piccole comunità agricole che si erano stanziate nelle valli dal clima più umido. Con l’aiuto di questo schema le missioni di ricerca hanno trovato 136 insediamenti su 149.