
Non capita di frequente di poter progettare una capitale. Di individuare su una mappa un terreno spoglio e di disegnare una metropoli, ex novo. È accaduto in Brasile e per realizzare questa visione sono bastati 3 anni e 7 mesi.
Pensare che quando venne inaugurata, nel 1960, contava 140.000 abitanti (per il 62% maschi) e, cinquant’anni dopo, 2.607.000. È intrigante la storia di Brasilia.
La capitale del Brasile era stata dapprima Salvador de Bahia e poi Rio de Janeiro, per quasi due secoli fino al 1959; tuttavia, nel 1892 (l’anno successivo alla prima costituzione repubblicana) venne stabilito che la capitale avrebbe dovuto essere identificata nel cuore del Paese, nel suo centro geografico.
Fa effetto vedere le immagini dell’Archivio Pubblico del Distretto Federale, specialmente quella del fotografo Mario Fontenelle che immortalò una distesa di terra percorsa da un’immensa X. Era la X del primo incrocio, il punto zero della città che al momento viveva solo nella mente dell’urbanista Lúcio Costa, che aveva lavorato a lungo con Le Corbusier.
Quel Costa che non voleva partecipare al bando e che invece se lo aggiudicò. Progettò per sei mesi filati, insieme a quel genio dal carattere spigoloso che fu Oscar Niemeyer e al paesaggista Roberto Burle Marx. Partendo dall’idea di un aeroplano: Costa tracciò difatti nella topografia locale una croce, concependola come un aereo che puntava verso l’Atlantico.
Lungo la “fusoliera” – Eixo Monumental – vennero allineati gli edifici pubblici mentre sull’altro asse trovarono posto quelli residenziali, organizzati secondo Superquadras, quartieri definiti principalmente da condomini ma composti anche da scuole pubbliche, negozi, farmacie, chiese di varie congregazioni e club de vizinhança, ovvero centri di sport e svago.
Nell’incrocio fra queste due linee – chiamate rispettivamente Scala Monumental e Scala Residencial o Domestica – è stata creata la Rodoviaria, il terminal dei bus che collega Brasilia alle città satellite (Planaltina, Samambaia, Lago Norte, Lago Sul) che insieme a lei compongono il Distretto Federale.
A corredo vi sono anche la Scala Gregaria, con uffici, imprese, hotel e centri commerciali, e la Scala Bucolica, luogo di ricreazione con cinque milioni di alberi. Infatti, sebbene le Superquadras contengano mediamente sessanta edifici da tre a sei piani, non bisogna immaginare una città di cemento armato. Sono a disposizione dei residenti il verde Parco Sarah Kubitschek e il Lago da Paranoá, 40 kmq a mille metri di altezza, bacino artificiale con sponde dove rilassarsi e club in cui praticare sport.
Si respira l’influenza di Le Corbusier: razionalizzazione del tessuto urbano (“la pianta è la generatrice”), suddivisione in settori, creazione di grandi assi stradali per agevolare il traffico e far godere alle persone le “gioie essenziali” ossia sole, spazio e verde; per l’architetto svizzero-francese considerato un agitatore culturale, le forme geometriche erano semplici e rigorose, le case sopraelevate su pilastri – o pilotis – dovevano lasciare libero il livello del suolo al servizio dei pedoni.
Per un europeo è piuttosto spiazzante non identificare un punto prettamente pedonale dove passeggiare, un centro della città, ma bastano pochi giorni a Brasilia per imparare a orientarsi, secondo le sue coordinate moderniste.
E pensare che nel 1957 sul terreno brullo che ancora non era città vivevano appena 2.013 abitanti, di cui 186 censiti come analfabeti; oggi Brasilia è un banchetto per gli appassionati di architettura.